Inizia oggi una nuova rubrica dedicata al programma Dance Life di Radio Leon, on air ogni sabato dalle 12 alle 14, condotto da Carla.
Con piacere apriamo anche questo spazio agli amici e alle amiche di Radio Leon che avranno la curiosità di leggerci oltre che ascoltarci. Ci piace, e speriamo piacerà anche a voi, l’idea di offrire condivisione, confronto, curiosità e perché no? anche approfondimento, sui temi e sugli argomenti trattati in diretta, che ruotano intorno al mondo dello spettacolo e della danza in particolare…ma non solo.
Partiamo con un’esclusiva per il Blog di Radio Leon: un’intervista inedita!
In una puntata di Dance Life mi sono occupata di Pina Bausch, la pioniera e visionaria del teatro-danza, e della sua ricerca cruciale, fondante, sul “gesto”, inteso in senso universale, profondo.
Queste parole – finora mai pubblicate – di chi l’ha conosciuta bene e ne ha condiviso il percorso artistico, ci avvicinano a lei, all’essere umano oltre che all’artista, scoprendone aspetti inediti, nuovi.
Pina Bausch, più semplicemente Pina, è stata una delle più grandi coreografe di danza, ha contribuito a trasformare il volto del teatro, rielaborandolo con creatività e sperimentando senza fine il Tanztheater o Teatro-Danza a Wuppertal in Germania, e poi in tutto il mondo. Quest’anno sono 15 anni dalla sua scomparsa, a 68 anni, il 30 giugno 2009.
Vi proponiamo qui di seguito – in esclusiva – un breve estratto dell’intervista inedita realizzata da Carla Di Donato ad Andrès Neumann, co-produttore internazionale degli spettacoli di Pina, nella primavera del 2019 nell’ambito di PINA TODAY, progetto di formazione del pubblico a cura di Carla Di Donato in collaborazione con il Teatro Stabile dell’Umbria e HOME (Centro di Creazione Coreografica).
Sin dal 1978 con l’Andrés Neumann International hai lavorato per i più grandi protagonisti dello spettacolo dal vivo (da Peter Brook a Luca Ronconi) oggi parliamo di Pina.
Mi piacerebbe che tu ci raccontassi la prima volta che hai incontrato Pina Bausch e cosa hai vissuto in quel momento.
Andrés Neumann (AN): Pina Bausch la si incontrava sempre la prima volta perché ogni volta era diverso. Ora Pina è un’icona ma è stato molto dura all’inizio per lei, il pubblico non la seguiva, quando gli spettatori entravano in sala a Wuppertal ad assistere ai primi spettacoli rimanevano sconcertati, alcuni addirittura lasciavano la sala, qualcuno commentava: “Sì’ la musica è bellissima ma bisogna chiudere gli occhi”. Si aspettavano le fiabe musicali, il balletto e invece si trovavano di fronte a qualcosa di totalmente nuovo: uno choc appunto. Dal momento in cui l’ho incontrata a Nancy nel 1974 sono sempre stato presente alle prime; infatti, ero alla prima del Macbeth di Shakespeare realizzato per la Shakespeare Society tedesca, è stato uno scandalo, fischiavano tutti, il pubblico ha abbandonato la sala dopo 15 minuti, è stato uno choc per Pina. È uno spettacolo straordinario ma molto inusuale per l’epoca.
Pina ha dichiarato in seguito: “Io non volevo provocare, volevo solo parlare di noi”, con quel noi si riferiva senz’altro a tutti gli esseri umani ma a partire dai membri della sua compagnia, da “quegli” essere umani che come lei stessa ha dichiarato “erano tutti delle perle”.
AN: Grazie Carla di questo, è un aspetto molto interessante perché la compagnia di Pina Bausch era composta da danzatori di 15 nazionalità diverse. Il casting che lei faceva era molto particolare, si innamorava molto delle persone, delle loro capacità di rappresentare un aspetto dell’essere umano.
Il TanzTheater di Wuppertal tiene in scena l’intero repertorio di Pina Bausch (circa 40 pezzi) che significa che in 5 anni io posso vedere l’“opera omnia”, questa è una caratteristica unica.
Il processo creativo di Pina con i membri della compagnia però poteva essere anche doloroso. Si partiva da domande, che all’inizio disorientavano, risultavano “strane”, quali ad esempio: “Da piccolo avevi paura del buio?”, “Quando vedi una persona che ti piace cosa fai?”, quesiti diretti a cui i danzatori dovevano trovare una risposta, essendo onesti e mettendosi a nudo, attraverso un loro linguaggio.
AN: Questo è l’aspetto molto interessante del processo creativo. Quando si facevano le co-produzioni internazionali in collaborazione con le città, tutta la compagnia si recava sul posto e si facevano le prove per tre settimane. si faceva questo “scouting” di impressioni da elaborare dopo, che non era mai didascalico, poi quello che succede alla fine in scena, nello spettacolo può sembrare a prima vista che non abbia nessun collegamento diretto con la città, invece ad uno sguardo più fine, il legame c’è, però non è mai folkloristico.
Riguardo invece il processo creativo, a queste domande sottili i danzatori dovevano rispondere con un’azione. Pina poneva questa domanda, poi dava dieci minuti e i danzatori dovevano arrivare in scena e rispondere con un’azione, o singolarmente, o in gruppi. È un processo particolare…
Nel lavoro di Pina erano fondamentali quelle che potremmo definire delle residenze coreografiche “ante litteram”: da Wuppertal, un piccolo centro industriale, ed anche un po’ grigio, della Ruhr, ai viaggi in tutto il mondo grazie a queste coproduzioni…puoi raccontarci l’universo che ruotava intorno alle “residenze”, dall’asse di preparazione all’esito finale?
AN: Ho avuto la fortuna di poter co-produrre tre spettacoli con Pina ed il TanzTheater quindi ho avuto modo di curiosare molto sia sul processo creativo sia sul suo sguardo: lei aveva una visione molto vasta, una curiosità insaziabile. Pina amava molto l’Italia, il Sud, la Sicilia, l’unico posto in cui andava in vacanza era in una spiaggia in Puglia, poi in compagnia ci sono stati molti danzatori italiani.
Tu mi hai detto a proposito di queste residenze: “Pina era la cuoca, noi le fornivamo gli ingredienti”.
Ci spieghi in che senso?
AN: Preparare queste residenze era come andare a fare la spesa per un cuoco. Quando lei arrivava in città con la compagnia che avrebbe “cucinato” noi dovevamo essere in grado di fare una spesa scelta con i prodotti naturali del posto. Pina voleva portarsi via quelle impressioni per poter cucinare dopo il piatto, ovvero lo spettacolo finale, che debuttava in Germania (a Wuppertal) e poi girava nella città in cui era stato co-prodotto. Questo era il processo ogni volta.
Secondo te, cos’è il gesto per Pina?
AN: C’è un titolo, Kontakthof, uno spettacolo che lei ha fatto in tre versioni, prima con la compagnia di danzatori, poi voleva aspettare che i suoi danzatori invecchiassero per farlo fare a loro “over 6oes”/oltre i sessant’anni, ma i danzatori non invecchiavano mai quindi lei alla fine ha fatto un casting di anziani di Wuppertal con degli ultrasessantacinquenni. Lo stesso gesto del danzatore ripetuto da un anziano, poi lo stesso spettacolo lo ha replicato anche con gli adolescenti. Il progetto vero era farlo con i ragazzi del campo rom di Roma di cui si era innamorata. Nella spesa che facevamo per lei a Roma era compreso il campo Rom. Mi ricordo che Pina mi chiese: “Andrés, ora ti chiedo una cosa difficilissima, mi devi formare una compagnia di ragazzi del campo Rom a Roma perché voglio donare loro Kontakthof, voglio farlo con loro”. Naturalmente non ci sono riuscito e lei lo ha fatto con i ragazzi adolescenti di Wuppertal.
Parlando del gesto quindi: lo stesso gesto eseguito da danzatori professionisti, da anziani ultrasessantacinquenni e da un adolescente. Questo è il significato del gesto, la sua profondità.
Negli ultimi anni di vita, Pina organizzava un festival di danza dove invitava a Wuppertal compagnie di tutto il mondo e lì ho potuto vedere in pomeridiana la versione degli adolescenti ed un’ora dopo quella degli anziani, fu uno choc inimmaginabile vedere, a distanza di un’ora, lo stesso gesto fatto prima da diciottenni poi da ultrasessantacinquenni: ho la pelle d’oca mentre lo racconto!
Cosa resta oggi del lavoro di Pina?
AN: “Pina era una visionaria. Ha cambiato lo sguardo di tutti noi”.
Per approfondire:
Libri: “Quello che ci muove. Una storia di Pina Bausch” di Beatrice Masini, edizioni Rueballu, 2017.
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